2. L’amore ai tempi del dottorato: maternità e paternità
Dopo il folgorante successo della recente campagna ministeriale in tema di fertilità, torno a parlare dei diritti di noi dottorandi.
Cosa prevede la nostra università (e più in generale la Legge) se durante il vostro percorso voi o la vostra compagna restate incinte?
Facile, vi spetta la maternità. Questo implica la possibilità di accedere all’INPS e ottenere l’erogazione di circa l’80% della borsa [1]. E inoltre avete diritto, secondo le regole interne di Unimi, al rimborso del restante (copertura completa, circa 20%) per i cinque mesi di maternità obbligatoria. Insomma per le dottorande della Statale il rimborso è del 100% della borsa nel periodo interessato.
Ciò in virtù di quanto disposto dall’art. 22 c. 10 del Regolamento Unimi in materia di dottorato di ricerca:
La frequenza del corso di dottorato è sospesa obbligatoriamente in caso di maternità, paternità, adozione e affidamento, ai sensi della vigente normativa in materia […] adeguatamente documentati. Alle dottorande si applicano le disposizioni a tutela della maternità di cui al decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale 12 luglio 2007.
Alcuni diritti dunque non valgono solo per la madre, ma anche in alcuni casi per il padre e non solo in caso di concepimento ma anche in caso di adozione o affidamento. Cosa prevede allora la normativa vigente, ed in particolare il decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale citato dal nostro regolamento (Decreto 247/2007)?
L’art. 1 c. 1 dice:
Il divieto di adibire le donne al lavoro per i periodi di cui all’art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, è esteso ai committenti di lavoratrici a progetto e categorie assimilate iscritte alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, di seguito definita «gestione separata», nonché agli associanti in partecipazione, a tutela delle associate in partecipazione iscritte alla gestione medesima.
Noi come sapete siamo iscritti alla gestione separata. Quindi le future e le neo mamme , per il periodo specificato dall’art. 16 del D.Lgs. 26/2001, non possono lavorare. Il periodo è così definito:
È vietato adibire al lavoro le donne (art. 16):
- durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all’articolo 20;
- ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
- durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all’art. 20;
- durante i giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche qualora la somma dei periodi di cui alle lettere a) e c) superi il limite complessivo di cinque mesi.
Inoltre (art. 20):
- Ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.
- Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità e per la solidarietà sociale, sentite le parti sociali, definisce con proprio decreto l’elenco dei lavori ai quali non si applicano le disposizioni del comma 1.
Qui si dice in sostanza che le donne possono decidere se assentarsi dal lavoro uno o due mesi prima del parto e nei tre o quattro mesi successivi,previo parere medico, fatto salvo che la durata complessiva del congedo di maternità non può comunque eccedere i 5 mesi [2].
Torniamo al D. 247/2007. L’ art. 5 recita:
- Alle madri lavoratrici iscritte alla gestione separata […] è corrisposta un’indennità di maternità per i periodi di astensione obbligatoria previsti dall’art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. L’indennità è corrisposta anche per i periodi di divieto anticipato di adibizione al lavoro e per i periodi di interdizione dal lavoro autorizzati ai sensi dell’art. 17 del predetto decreto legislativo n. 151 del 2001.
- L’indennità di cui al comma 1 spetta alle lavoratrici in favore delle quali, nei dodici mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile, risultino attribuite almeno tre mensilità della contribuzione dovuta alla gestione separata, maggiorata delle aliquote di cui all’art. 7. 3. L’indennità è corrisposta nella misura prevista dall’art. 4 del decreto 4 aprile 2002 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 12 giugno 2002, n. 136, e secondo le modalità ivi previste, previa attestazione di effettiva astensione dal lavoro da parte del lavoratore e del committente e resa nelle forme della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.
In buona sostanza, se avete “lavorato” per almeno tre mesi nei dodici mesi precedenti avete diritto all’indennità, fatto salvo che vi sia certificata l’effettiva astensione da parte del datore di lavoro (l’università).
Ma in quali casi di preciso spetta l’indennità? Ecco cosa dicono gli articoli rilevanti del Decreto del Ministero del lavoro 4/2002:
Art. 1. – Indennità di maternità
- […] alle madri lavoratrici iscritte alla gestione separata […] è corrisposta un’indennità di maternità per i due mesi antecedenti la data del parto ed i tre mesi successivi alla data stessa. […]
- L’indennità di maternità è comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia.
Art. 2. – Indennità in caso di adozione o affidamento
- In caso di adozione o affidamento, l’indennità di cui all’art. 1 spetta, sulla base di idonea documentazione, per i tre mesi successivi all’effettivo ingresso nella famiglia della lavoratrice del bambino che, al momento dell’adozione o dell’affidamento, non abbia superato i sei anni di età. 2. […]
E vale anche per i futuri papà, ma solo in caso di mancanza della mamma:
Art. 3. – Indennità di paternità
- […] al padre lavoratore […] è corrisposta un’indennità di paternità per i tre mesi successivi alla data effettiva del parto, o per il periodo residuo che sarebbe spettato alla lavoratrice madre, in caso di morte o grave infermità della madre o di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.
- In caso di adozione o affidamento l’indennità di cui al comma 1 spetta, sulla base dei requisiti di cui all’art. 2, anche in alternativa alla madre lavoratrice che non ne faccia richiesta.
E quanto spetta d’indennità?
Art. 4. – Misura dell’indennità e modalità di erogazione
- L’indennità di cui agli articoli precedenti è determinata per ciascuna giornata del periodo indennizzabile in misura pari all’80 per cento di 1/365 del reddito, derivante da attività di collaborazione coordinata e continuativa o libero professionale, utile ai fini contributivi, per i dodici mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile.
- L’indennità è corrisposta dalla competente gestione separata, a seguito di apposita domanda, presentata dagli interessati, corredata da idonea certificazione, con le modalità e nei termini stabiliti dall’Istituto erogatore, che tengano conto delle specificità delle denunce reddituali e contributive previste per ciascuna categoria di iscritti.
In sostanza l’INPS ci garantisce più o meno l’80% del reddito (della borsa) previa richiesta e con debita certificazione da parte dell’università. Ma non finisce qui perché fortunatamente la nostra università ha deliberato, per le dottorande con borsa Unimi, di contribuire direttamente per tutta la quota restante (circa il 20%). Quindi per i cinque mesi pre e post gravidanza le neo mamme saranno completamente retribuite ed inoltre non perderanno la fruizione della borsa (potendo in sostanza arrivare a 3 anni e 5 mesi di borsa). Inoltre questo reddito vale anche ai fini pensionistici [3].
E quando siamo ufficialmente una famiglia? Nell’art. 5 del medesimo decreto 4/2002 si disciplinano alcuni dei casi in cui si ha diritto agli assegni per il nucleo familiare.
Dunque, qualora quindi il ministero (o la vostra anima gemella) vi avesse convinto a riprodurvi nel più breve tempo possibile, sappiate che potete perlomeno contare su questi diritti.
Addendum
Come giustamente mi fa notare una nostra collega (che ha avuto ben due figli durante il dottorato, congratulazioni!!), si possono fare alcune precisazioni ulteriori (vedi richiami nel testo):
[1] Più correttamente l’INPS rimborsa l’80% della somma delle 12 mensilità precedenti / 12 (lo stipendio medio dell’anno precedente). Come chiarito dall’art. 4 c. 1 del D. 247/2007 riportato più sotto.
[2] Oltre ai 5 mesi obbligatori è possibile scegliere di usufruire di tre mesi aggiuntivi al 30% dello stipendio. Qui purtroppo Unimi non interviene.
[3] Ovvero alla fine del dottorato vi troverete ad avere maturato 3 anni e 5 mesi di contributi pensionistici. Un interessante e completo contributo sulla pensione dei giovani ricercatori (ahimè un po’ da aggiornare) è disponibile qui.